IDONEITA’ INGANNATORIA DEL FALSO IN BILANCIO

L’art. 2631 c.c. in tema di false comunicazioni sociali, il c.d. “falso in bilancio”, punisce la condotta degli organi apicali dell’azienda che per conseguire un ingiusto profitto, nell’ambito di bilanci e altre comunicazioni dirette al pubblico, consapevolmente espongono fatti non veri o omettono fatti rilevanti inerenti la situazione economico-patrimoniale della società in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore.

Cosa si intende, tuttavia, con tale ultima espressione? Che significato occorre attribuire al concetto di idoneità ad indurre in errore?

Innanzitutto occorre chiarire che con il termine “altri” il legislatore abbia inteso riferirsi specificamente ai soci, ai creditori sociali, ai soggetti legati alla società da rapporti contrattuali nonché ai potenziali soci, creditori o contraenti.

Orbene, il requisito dell’idoneità ingannatoria riguarda la capacità di indurre in errore il destinatario dell’informazione: la condotta deve ritenersi tale quando la comunicazione sociale non offre una reale ed esatta rappresentazione della realtà.

In concreto occorre che non siano stati offerti al destinatario dell’informazione gli strumenti necessari a comprendere quali sia l’effettivo percorso attraverso il quale nel bilancio viene data una certa rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società (Cfr. A. D’Avirro, Il nuovo falso in bilancio, Giuffrè, Milano, 2015).

E’ evidente quindi come la valutazione dell’idoneità ingannatoria di una comunicazione sociale debba essere necessariamente effettuata in concreto tenendo conto delle specifiche conoscenze, qualità e attività svolte dai singoli destinatari dell’informazione.

L’idoneità ingannatoria, o in altre parole l’idoneità dell’informazione a trarre in errore il destinatario dell’informazione, sarà ben maggiore se rivolta ai soci rispetto a quella richiesta in relazione alla falsa informazione rivolta ad altre categorie di destinatari (come coloro che non siano ancora soci, i fornitori, o coloro che più genericamente intrattengono solo rapporti commerciali con la società).

Si presume, infatti, che i soci, in quanto soggetti che già operano all’interno della società, siano ben più informati sulla reale condizione economico-patrimoniale-finanziaria, al contrario di un semplice fornitore o di colui che è solo interessato ad acquisire potenzialmente la qualità di socio mediante un rilevamento azionario. Tali ultime categorie di soggetti, infatti, in quanto “esterne” alla società, godono di un baglio informativo diretto molto inferiore, ed è per tale ragione che sono naturalmente più propense a fidarsi della genuinità delle informazioni contabili di bilancio o contenute in altre comunicazioni senza poter ottenere immediati riscontri.

L’idoneità ingannatoria dell’informazione destinata ai soci, quindi, sarà necessariamente maggiore, e quindi la falsificazione più sofisticata, rispetto a quella inerente l’informazione destinata a categorie di soggetti “esterni” alla società.

E’ evidente, in conclusione, come non sia possibile individuare a priori dei criteri conoscitivi medi per ogni singola categoria di destinatari della comunicazione sociale. Ogni singolo caso giudiziario deve essere analizzato secondo le sue concrete caratteristiche – molto spesso tramite l’ausilio di una consulenza tecnico-contabile – mediante un indispensabile raffronto tra il tipo di informazione ingannatoria, l’oggetto dell’informazione e le caratteristiche specifiche del destinatario.

Avv. Marco Napolitano