Nei reati tributari vi è senza dubbio un rischio molto elevato per il professionista di concorrere nel reato commesso dal proprio cliente, con la conseguenza di risultare indagato unitamente a quest’ultimo.
Pur essendo quelli tributari dei reati propri, al professionista concorrente, il c.d. extraneus, possono applicarsi i principi generali previsti dal codice penale in materia di concorso di persone (art. 110 e ss c.p.).
Il problema si pone in particolar modo se si rileva che la complessità delle incombenze fiscali e tributarie è ormai così significativa per cui è indispensabile per il cliente il ricorso all’assistenza di un professionista specializzato cui affidare la cura dell’adempimento.
Si deve considerare, tuttavia, che sulla base dell’impostazione introdotta dal D.Lgs. 74/2000 i reati tributari sono stati tutti strutturati come fattispecie di natura delittuosa: ciò implica che il concorso del professionista nel reato del proprio cliente può avvenire soltanto a titolo di dolo.
Tale rilievo comporta immediatamente la necessità di distinguere tra tutte le condotte del professionista quelle di tipo doloso da quelle molto più numerose di tipo meramente colposo, per le quali, quindi, non sussistono profili di penale rilevanza: si tratta di quei comportamenti frutto di negligenze professionali (omesse verifiche, distrazioni, ecc.).
Ne consegue, quindi, che il professionista potrà essere chiamato a rispondere, a titolo di concorso, con il proprio assistito solo nell’ipotesi in cui abbia intenzionalmente fornito un contributo causale alla realizzazione del fatto previsto dalla legge come reato. Inoltre, poiché il profilo soggettivo richiesto dai reati fiscali è il dolo specifico, il consulente potrà essere chiamato a rispondere come concorrente tutte e solo le volte in cui si dimostra la consapevolezza dello stesso del fine particolare di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto (la prova della collusione ex art. 110 c.p. deve essere documentatamente solida, altrimenti altre sono le ipotesi di reato da contestare – Cass. Pen., Sez. II, 12/05/24785, n. 24785).
Occorre distinguere due orientamenti che descrivono i tipo di contributo che il professionista può apportare:
- concorso materiale – è certamente ravvisabile la penale responsabilità del professionista quando oltre a fornire nozioni tecniche assista materialmente il cliente nel compimento delle condotte criminose (significativo è il caso del consulente che aveva trasmesso le dichiarazioni sui redditi e aveva apposto il visto di conformità obbligatorio per la certificazione dei crediti inseriti, con gravi indizi emersi da intercettazioni telefoniche da cui si evince chiaramente l’inesistenza dei crediti opposti in compensazione all’erario – Cass. Pen., Sez. III, n. 1999/2018).
- concorso morale – la penale responsabilità del professionista potrebbe essere ravvisabile anche nell’ipotesi in cui fornisca una c.d. mera consulenza: basterebbe un qualsiasi suggerimento tecnico fornito al cliente con la consapevolezza dei propositi distrattivi di quest’ultimo, tramite l’indicazione dei mezzi giuridici utilizzabili, l’assistenza nella conclusione dei relativi negozi, lo svolgimento di attività dirette a garantire l’impunità (Cass. Pen. n. 5697/2004).
Gli orientamenti giurisprudenziali più recenti ai fini di ritenere sussistente la penale responsabilità del commercialista propendono per la necessità di individuare un contributo non solamente morale, ma anche materiale nel reato del cliente, il quale “abbia partecipato a creare il meccanismo fraudolento che ha consentito all’amministrazione della società di avvalersi della documentazione fiscale fittizia” (Cass. Pen. Sez. III, 30/11/2016, n. 14815): in particolare si segnala il caso in cui il professionista “predispose la falsa documentazione contabile e contrattuale funzionale a creare la provvista per il pagamento delle dazioni corruttive, architettando le operazioni attraverso il cosiddetto nero supportando poi l’interessato anche per l’emissioni delle fatture inesistenti emesse solo per giustificare i pagamenti illegittimi” (Cass. Pen., Sez. VI, 13/10/2016, n. 52321) o il caso in cui “la società aveva evidenziato nelle dichiarazioni annuali costi per l’acquisto di diritti cinematografici maggiorati rispetto a quelli effettivamente versati al venditore, attraverso il c.d. sistema della catena societaria, e cioè facendo risultare acquistati i diritti medesimi da più intermediari fittizi e la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità concorsuale sia di coloro che avevano escogitato il sistema fraudolento sia di coloro che avevano gestito le società che avevano funto da fittizie intermediarie” (Cass. Pen., Sez. Fer., 01/08/2013, n. 35729).
Si sottolinea, infine, una rilevante pronuncia che ha chiarito come il professionista possa evitare la penale responsabilità tramite una sorta di desistenza volontaria: il consulente “può sfuggire alla contestazione del reato solo nell’ipotesi che abbandoni l’incarico dopo il primo esercizio in cui emerge l’irregolarità” (Cass. Pen., Sez. III, 11/02/2015, n. 19335).
Avv. Marco Napolitano